Nel 2019, Michael Kimmel e Christian Rogler , dell’Università di Vienna, hanno pubblicato una ricerca dal titolo decisamente impegnativo: “L’anatomia della coregolazione antagonista: la coordinazione emergente, la dipendenza dal percorso (path dependency) e l’interazione dei parametri biomeccanici nell’Aikido”.
E’ una ricerca corposa, che affonda le sue radici nelle Scienze Cognitive e negli studi di Antropologia Sociale e Culturale e che ha il merito di provare ad analizzare e scomporre le caratteristiche della relazione nella coppia di praticanti durante una sessione di keiko.
Si tratta di uno studio che ha coinvolto due Dojo, uno a Vienna, l’altro a Monaco di Baviera, basato su osservazioni continuative riportate su veri e propri diari di pratica che coprono periodi di anni.
Per chi fosse interessato a leggere questo studio, cliccando su questo link è possibile scaricare l’originale, che richiederebbe una traduzione in Italiano ad opera di esperti della stessa materia, per rendere viva una versione che diversamente si limiterebbe ad un puro calco in Italiano -ed è la ragione per cui non forniamo una traduzione.
L’assunto di base è che, nella prospettiva degli studiosi, il percorso che ha condotto al momento presente determina i possibili esiti futuri di un’azione. Tale considerazione origina dall’osservazione di cosiddette “dinamiche di interazioni emergenti” all’interno di svariati ambiti in cui l’essere umano si relaziona con altri nello spazio e nel tempo.
Esempi classici sono le azioni negli sport di squadra o le figure coreografiche tipiche della danza.
Da questa prosepettiva, Kimmler e Rogler, come riporta la sintesi del loro studio, si sono concentrati sulle microdinamiche della coordinazione del singolo nella coppia e della coppia stessa. Hanno teorizzato un modello strutturale e funzionale della relazione tra l’attaccante e colui che riceve la tecnica. Su questa base, è stata diffusamente analizzata la causalità basata sull’interazione, ovvero sulla qualità degli schemi di coordinazione che si generano a partire da quanto è successo fino a quel momento, al netto di altri fattori come le attitudini personali, la modalità ed il livello di pratica, l’esperienza dei praticanti.
Il primo merito di questa ricerca è stata una vera e propria scomposizione del rapporto tori-uke, schematizzato in quattro fasi (ingresso, esecuzione, guida verso il suolo dell’attaccante e immobilizzazione (o proiezione). Le transizioni che collegano queste fasi conducono entrambi i componenti della coppia verso una graduale riduzione della libertà di azione/espressione, seppure le transizioni possono essere numerose e virtualmente illimitate.
Un secondo merito dei ricercatori è stato soffermarsi sulla gestione del transitorio. Riesaminando al rallentatore il materiale registrato, gli autori hanno evidenziato che la qualità della relazione e dell’esecuzione è strettamente connessa a minime variazioni biomeccaniche. I punti di snodo di una tecnica codificata amplificano tanto la sicurezza quanto l’insicurezza, determinando fasi successive in cui la ricerca del “controllo” della situazione (estensivamente: della coercizione del momento) determina scelte successive (l’ordinato fluire della tecnica; il rifugiarsi nella routine meglio conosciuta; l’improvvisa variazione).
Di fatto, la ricerca pone molta enfasi su questi snodi, non distribuiti uniformemente nel tempo e nello spazio della pratica della coppia.
Questa discontinuità spazio-temporale si traduce in una pressione psicoemotiva discontinua: ci sono fasi dell’esercizio in cui non occorre prendere decisioni, altre in cui l’intero sistema è sotto stress.
Il terzo pregio del lavoro di cui parliamo oggi è l’aver identificato, analiticamente, tutti quegli aspetti che intercorrono tra uno snodo e l’altro che possono essere conosciuti e vissuti all’interno della pratica per aprire un’alberatura di possibilità sempre più fitta.
Questo non significa “infinita” ma numerosa a sufficienza da essere di fatto sempre potenzialmente “nuova”.
Tali aspetti sono definiti come momenti di preparazione (o di concessione) in qualche modo “nascosti”, come la capacità di fondersi con il momento presente e di indurre il partner in una zona densa di errori percettivi.
Queste caratteristiche sottili della strategia marziale (per esempio: il modo con cui si apre la propria guardia, si offre uno spazio per una presa) aumentano a dismisura la possibilità di scelta per una gestione della relazione.
A parità di competenze, l’aumento dei gradi di libertà percettivi da parte di chi subisce la tecnica -soggetto mai puramente passivo- determina un continuo fluire di informazioni nella coppia che determina il grado, la qualità e la dinamica con cui la tecnica viene svolta.
Laddove il mandato sia meno formale e più ispirato alla libertà espressiva, tale granularità sembrerebbe originare il jiyu waza nella sua forma più fluida.
Il quarto elemento di assoluto valore della ricerca consiste nell’aver analizzato i praticanti esperti, formulando il concetto di “decision making in azione”.
L’osservazione ininterrotta del comportamento e della dinamica dell’interazione di un Aikidoka esperto in un lavoro di coppia ha identificato una spiccata capacità di bilanciare in ogni momento i parametri spaziali, temporali e relazionali.
Per quanto riguarda i parametri spaziali, le traiettorie del praticante esperto sono molto più chiare e definite e garantite da una simmetria fisica data da una piena e consapevole gestione del proprio asse centrale e del radicamento.
Tale gestione sfocia necessariamente nel rapporto temporale, con la gestione di ingressi diretti o di assorbimenti circolari (irimi/tenkan) volti a poter incanalare il tempo nella relazione a proprio vantaggio, così come la frontalità rispetto allo spazio dietro sé.
Nelle sue implicazioni, questo studio dimostra quindi che l’unicità dell’Aikido, anche nel panorama delle Arti Marziali, risiede nel trovare il suo pieno compimento attraverso una piena sinergia biomeccanica, una piena collaborazione tra uke e tori, elemento essenziale che conduce inevitabilmente l’attaccante in una zona in cui l’originale aggressività è sopita.
La coraggiosa affermazione di Kimmel e Rogler è che sotto questo profilo la conclusione di un conflitto attraverso un evento risolutivo (potremmo definire: attraverso una vittoria imposta sul proprio compagno di pratica), può essere innocua ma “non naturale”, perché nella natura delle relazioni umane tutto determina un qualche livello di sinergia. La “vittoria” determina di fatto uno stallo e un fallimento di una sinergia.
Gli autori quindi esaminano cinque conclusioni finali:
La prima riguarda la necessità di una consapevolezza tecnica richiesta per una migliore supervisione di quei parametri biomeccanici che consentono di attivare percorsi di genuina esplorazione durante la pratica.
La seconda riguarda la necessità di sviluppare una piena interconnessione cinestesica che consenta di incorporare completamente l’altra persona nel proprio sistema cognitivo e psicofisico.
La terza è il superamento del paradigma del “gioco a somma zero”, perché la cocreazione dello scambio durante la pratica si sposta dal concetto di scontro a un concetto di cooperazione.
La quarta è che, nel corso dello svolgimento di una pratica di coppia sembrerebbe creare un legame comunque forte a prescindere dal fatto che l’attitudine dei singoli sia competitiva o collaborativa nell’esercizio. Con la conseguenza che è l’interazione il catalizzatore del percorso di coercizione e non l’intenzione in sé.
La quinta e finale è lo spostamento di attenzione dal concetto di vittoria (risoluzione asimmetrica del conflitto) al concetto di successo (conseguenza della costruzione congiunta di una relazione).
Personalmente siamo molto grati a questi ricercatori per l’enorme lavoro svolto e che apre prospettive di consapevolezza sulla disciplina marziale in generale e sull’Aikido in particolare che riteniamo utili condividere.
Pur essendo una ricerca che ha richiesto molto tempo (sia per essere scritta, sia per essere compresa, quantomeno da noi), riteniamo che la sua complessità possa ispirare la pratica fisica ancora prima della mente. Aver condensato osservazioni di anni di pratica di due comunità è un lavoro gigantesco, una telecamera che offre una prospettiva terza e che può dunque parlare di tutti noi.
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